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martedì 26 aprile 2011

ARMANI E GREEN CROSS ITALIA: Il diavolo e l'acqua santa.


Sapevamo che il diavolo veste Prada.

Adesso sappiamo anche che beve Armani.

Acqua for Life, la campagna di marketing (.. ehm .. volevo dire ... la campagna di solidarietà) che associa il prestigioso marchio alla donazione di acqua potabile alle popolazioni bisognose del Ghana è molto accattivante. Ma è anche, secondo me,  un po' ... come dire ... diabolica.

E' fuori di ogni dubbio che qualsiasi iniziativa che abbia come risultato quello di alleviare le sofferenze di popolazioni che letteralmente muoiono di sete, sia la  benvenuta e non può che essere accolta favorevolmente. Ma fino a che punto il fine giustifica i mezzi? Esiste un limite allo sfruttamento a fini commerciali di un tema etico? Se la tua risposta, caro Tommaso, è NO allora vabbè, è tutto occhei. Se invece pensi che qualche limite forse non ci starebbe male, bè, allora qualche considerazione in più andrebbe pure fatta.

Io penso che la risposta sia SI e quindi queste considerazioni le voglio fare.

Prima di tutto, voglio dire che trovo di pessimo gusto l'accostamento dell'immagine del lusso, del glamour, del superfluo, dello spreco e dell'ostentazione alla sete e alla sofferenza di un popolo. Se si trattasse di vera fiilantropia, in un caso del genere, a mio parere, ci starebbe molto meglio l'anonimato.

Ma la filantropia qui non c'entra proprio per niente, come vedremo. Innanzitutto perché è assolutamente evidente il ritorno di immagine, e quindi economico, che ne consegue. Certo, non c'è nulla di male a farsi la pubblicità. Però bisogna dirlo, che la si sta facendo, altrimenti è occulta (e non si può! Non si può contrabbandare come campagna di solidarietà un abilissimo progetto di marketing). E poi c'è un'altra considerazione da fare: la pubblicità, di solito, prima la si paga e poi se ne raccolgono i frutti. In questo caso, invece, Armani prima ci guadagna con la vendita del prodotto e poi, ma solo poi, destina un tot alla causa. Come a dire: Se noi ci improfumiamo, voi bevete. Sennò, arrangiatevi come potete.

Certo qualcuno potrebbe obbiettare: Ma anche chi non ha comprato Acqua di Giò o Acqua di Gioia (un nome, un programma ... di marketing. Chissà se è nato prima il nome o la campagna?), cliccando sulla pagina Facebook, contribuisce a donare acqua agli assetati. E' vero, ma cosa c'è di meglio di una bella campagna pubblicitaria virale? E' potentissima, è efficacissima ed è ... PRATICAMENTE GRATUITA. [Per chi non lo sapesse, sul Web si intende per virale un fenomeno -come appunto una pubblicità- che si trasmette da solo, come le influenze, in forza della sua capacità di intrigare ed incuriosire in maniera, appunto, contagiosa]

E poi cosa c'entrano i bambini? Il progetto NON E' INDIRIZZATO AI BAMBINI. E' indirizzato alle intere comunità di un certo numero di villaggi attraverso la realizzazione di strutture di vario genere come il recupero di vecchi pozzi e la costruzione di nuovi, la realizzazione di cisterne ed infrastrutture per il recupero dell'acqua piovana, etc. Questa falsificazione degli scopi può avere un'unica spiegazione: la sete di un bambino VALE  di più della sete di un adulto. Figuriamoci poi se è pure nero e denutrito.

In questo Paese se uno fa una campagna pubblicitaria con qualche tetta o qualche culo di troppo, si indignano tutti. Per il resto tutto va bene madama la marchesa.

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